La dolorosa vita e l’enigmatica scomparsa del vero “Dumbo”, l’elefante triste

Alcolizzato, pazzamente innamorato del proprio manager e morto in strane circostanze. Con questi dati si potrebbe parlare di una qualsiasi stella del rock, però non è questo il caso: si tratta della vita di Jumbo, l’elefante più famoso della storia che ha ispirato il classico per bambini di Disney e il nuovo remake uscito in questi giorni. La nuova versione del film si intitola Dumbo, è diretta dal grande Tim Burton e interpretata da Colin Farrel, Denny DeVito e Michael Keaton.

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Jumbo, quello vero, venne catturato in Abissinia (l’odierna Etiopia) nel 1862. Per farlo, molto probabilmente dovettero uccidere sua madre che quasi certamente cercò di proteggerlo. A quel tempo lui aveva solo due anni e mezzo. Lo chiamarono Jumbo, che significa “ciao” in swahili. Nessuno credeva che sarebbe potuto arrivare vivo a Parigi, però ce la fece, anche se le sue condizioni di salute erano preoccupanti. Presto, i suoi “proprietari” lo cedettero allo zoo di Londra in cambio di un rinoceronte.

Arrivò a Londra nel 1865. A quei tempi possedere un elefante africano tanto grande era una rarità. Negli zoo si potevano trovare molti elefanti asiatici, di grandezza inferiore e considerati docili, ma gli elefanti africani avevano la fama di essere violenti e ribelli. Per questo, il direttore dello zoo di Londra, Abraham Bartlett, lo volle a tutti i costi, nonostante le condizioni di salute di Jumbo fossero gravi.

Bartlett assunse Mattew Scott che aveva l’incarico di prendersi cura dell’elefante. L’uomo non aveva molta esperienza ed era un tipo particolarmente singolare. Tanto solitario quanto Jumbo, dormì per ben sei mesi nella gabbia insieme all’elefante e tra loro, in quel periodo, si creò un legame emotivo talmente forte che solo la morte sarebbe riuscita a spezzarlo.

Scott era riuscito a far guarire Jumbo, in cambio, però, il pachiderma era diventato incapace di rimanere troppo tempo lontano dall’uomo. Scott raccontò la loro relazione nelle sue memorie, ma oggi sappiamo che l’amore che provava Jumbo per la persona che si prendeva cura di lui non era nulla di insolito per un elefante. Sono animali molto socievoli che hanno bisogno di interagire costantemente con altri individui della propria specie. Cercarono una compagna per Jumbo e dopo poco tempo arrivò Alice, ma Jumbo continuava a preferire la compagnia di Scott.

Sono gli anni in cui si sta sviluppando la fotografia e poter immortalare soggetti come Jumbo era diventato il desiderio di molti nuovi artisti, i quali reasformarono l’elefante in una celebrità. Tutta Londra si recava a Regent’s Park per poterlo vedere. I cittadini erano entusiasti di Jumbo, tanto che continuavano a fargli regali sotto forma di dolci. Per 15 anni, Jumbo è stato una gloria nazionale. Però, nel 1880 iniziarono i problemi: l’elefante cominciò a comportarsi come una specie di dottor Jekyll e mister Hyde.

Di giorno era l’immagine della gentilezza. I bambini passeggiavano per lo zoo in cima alla sua groppa. Anche i piccoli della famiglia reale e un giovane Winston Churchill avevano provato quella sensazione. Di notte, però, era tutto molto diverso: Jumbo aveva delle esplosioni di violenza e, ogni notte, distruggeva il posto in cui dormiva. Barlett, il direttore dello zoo, diede, erroneamente, al problema una spiegazione scientifica e una personale: Jumbo aveva quasi 20 anni e i suoi ormoni erano completamente sfasati per via del calore; e l’elefante prestava attenzione solamente a Scott, il quale esigeva costantemente un aumento della paga.

Barlett scrisse al consiglio responsabile della gestione dello zoo: “Non ho dubbi sul fatto che lo stato dell’animale sia tale che potrebbe uccidere chiunque (eccetto Scott) si azzardasse ad entrare nella sua gabbia. Fino ad ora, Scott è riuscito a tenere l’animale sotto il suo controllo. Quanto possa durare questa situazione è impossibile da dire”.

Di fatto, Scott, oltre al rapporto con l’animale che durava da anni, aveva anche un trucco. Quando all’animale venivano gli attacchi di rabbia, per calmarlo, l’uomo gli dava da bere del whisky.

Funzionava, perché l’animale finiva per essere ubriaco e si calmava. Oggi sappiamo che gli attacchi di rabbia erano provocati dalla costante assunzione di dolci, così lontani dalla dieta che avrebbe dovuto seguire, che gli stavano distruggendo tutti i denti. Questa è stata la conclusione alla quale è arrivato Richard Thomas, l’archeologo dell’Università di Leicester, nel Regno Unito, dopo aver esaminato i resti di Jumbo per la realizzazione del documentario della BBC Attenborugh and the Giant Elephant (2017). Il dolore era talmente forte che il povero animali impazziva.

Thomas scoprì anche che, oltre alla sua dentatura, altre parti della sua anatomia presentavano dei tratti insoliti, specialmente le articolazioni presentavano delle lesioni che secondo l’esperto: “Dovevano essere incredibilmente dolorose, possono essersi generate a causa del troppo peso che Jumbo doveva sostenere trasportando i visitatori”. Jumbo, un gioviale ventenne, aveva in realtà lo scheletro di un elefante di 50 anni.

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Per paura che i costanti attacchi di rabbia di Jumbo poteressero verificarsi in pubblico e dare luogo a una disgrazia, il direttore dello zoo decise di venderlo al magnate circense statunitense P.T. Barnum. Lo fece per una quantità di denaro enorme per l’epoca, l’equivalente di circa 200 mila euro di oggi.

L’opinione pubblica fu completamente contraria alla decisione presa dal direttore dello zoo. I britannici la presero come un’offesa nazionale. Ogni notte, prima della sua partenza, migliaia di londinesi andarono allo zoo per dare un ultimo saluto a Jumbo e per mostragli il loro affetto. Avevano anche aperto un fondo per poter ricomprare l’animale a Barnum e si narra che la stessa Regina Vittoria mostrò il proprio dispiacere per la decisione presa dallo zoo di Londra. Jumbo si rifiutò di entrare nella cassa che avrebbe dovuto trasportarlo negli Stati Uniti e questo fu un gesto che aumentò il simbolismo patriottico per i britannici.

Quando arrivò a New York, Barnum lo fece sfilare per Broadway di modo che gli statunitensi potessero ammirare quell’esemplare che era riuscito a strappare all’onnipotente Impero Britannico. Jumbo e altri 20 elefanti vennero fatti camminare sul ponte di Brooklyn, per dimostrare l’affidabilità di quel grande lavoro di ingegneria. Probabilmente, quelli furono gli anni più felici di Jumbo. Anche se doveva viaggiare di città in città su un treno, il circo di Barnum, nel quale c’erano anche altri elefanti, riuscì ad alleviargli quel senso di solitudine che lo aveva fatto deprimere durante il suo soggiorno londinese.

Barnum era divetanto un grande magnate grazie all’esposizione pubblica dei cosiddetti “fenomeni da baraccone”, come i “freaks“, le donne barbute e i gemelli siamesi Chang e Eng. E, anche questa volta, il suo fiuto per gli affari lo aveva portato a pubblicizzare l’elefante su degli enormi manifesti a colori con scritto: “Jumbo, l’animale più grande del mondo”.

Si trattava di una mezza verità. Jumbo era sicuramente molto grande per la sua età, superava i tre metri, mentre la paggior parte degli elefanti della sua stessa specie che facevano parte del circo misuravano all’incirca 270 cm. A Barnum non interessava che fosse vero, ma era molto interessato allo spettacolo: i manifesti ritraevano Jumbo messo a paragone con l’insignificanza delle dimensioni umane su una scala completamente irreale.

Probabilmente, crescendo avrebbe potuto raggiungere i 4 metri. Ma non ci riuscì. Ancora una volta il destino crudele si mise sulla sua strada. Era il 1885 ed il circo aveva appena finito di lavorare a Saint Thomas, una località canadese. Gli animali erano già tutti nelle loro gabbie e pronti per partire. Mancavano solamente Jumbo e un cucciolo di elefante che si chiamava Tom Thumb, quando, all’improvviso, una locomotiva apparve in direzione del piccolo. Jumbo, con il proprio corpo di 7 tonnellate, volle proteggere il cucciolo dall’impatto con il mezzo e morì sul colpo.

O perlomeno questo è quello che raccontò Barnum, l’uomo che era riuscito a costruire il proprio impero circense partendo da finte sirene, aveva raccontato una menzogna finale. Questa è l’opinione David Attenborough, il quale ha girato il documentario Attenborough and the Giant Elephant en 2017: “Fece credere che la sua morte fosse stato un grande gesto eroico, nel quale Jumbo si sacrificò per salvare il cucciolo, ma non andò così”. Il documentario mostra una realtà molto diversa: mentre stava salendo sul treno, un’altra locomotiva che arrivava dal senso opposto lo investì, provocandogli un’emorragia interna che gli provocò la morte.

Aveva 24 anni. Un elefante in libertà può arrivare a vivere fino a 60 o 70 anni. Barnum, determinato a far monetizzare il proprio investimento fino alla fine cercò di ricavare del denaro dal cadavere di Jumbo in due modi: vendette il suo scheletro e fece imbalsamare il suo corpo, così da poterlo ancora mostrare durante gli spettacoli. Quando i tassidermisti iniziarono il lavoro, scoprirono che Jumbo nascondeva un’ultima sorpresa dentro di sè: nel suo stomaco c’era del denaro. La sua proboscide aveva aspirato ben 300 monete, si trattava del denaro che i suoi ammiratori davano alla persona che si prendeva cura di lui per poter salire sulla sua groppa.

La sua morte scatenò il mito di Jumbo, la supertar. Chiunque sia andato in un ristorante negli Stati Uniti avrà sicuramente visto la parola “jumbo” sui menù, la quale si è trasformata in un sinonimo di grande (“gamberetti jumbo”, “hamburger jumbo”…).

Dopodiché, nel 1939, Helen Aberson scrisse il libro Dumbo. Da Jumbo a Dumbo, quel cambio di lettera permetteva il gioco di parole dal gigantesco Jumbo al simpatico Dumbo, che deriva da dumb, sciocchino. Si trattava di un raconto per bambini di poca diffusione, ma nonostante questo arrivò nelle mani di Walt Disney, il quale realizzò il meraviglioso film di animazione del 1941.

In questi giorni è uscita la versione del film di Tim Burton ed in tutta la trama si parla di una animale con un cuore grande quanto le sue dimensioni, felice di donare gioia a grandi e piccoli.

Tuttavia, la vita di Jumbo era molto lontana dal dolce racconto che ci presentano nei film.

Conoscevi la vera storia di questo sfortunato elefante? Lasciaci un commento e salva il contenuto sul tuo diario così che anche i tuoi amici possano leggerla. Seguici per altre curiosità sulla pagina Curiosando si impara.

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