Nell’estate torrida del 1858, Londra scoprì che il suo fiume poteva rivoltarsi. Il Tamigi, da sempre cuore pulsante della città e via d’acqua per commerci e trasporti, si trasformò in un’enorme cloaca a cielo aperto. Il caldo eccezionale fece abbassare il livello dell’acqua, e tutto ciò che per decenni vi era stato gettato senza scrupoli cominciò letteralmente a cuocere al sole. Rifiuti organici, scarichi delle case, scarti di macelli e concerie: l’intero miscuglio fermentava nella luce accecante di luglio. Il risultato fu un fetore così potente e nauseabondo da piegare la capitale di un impero. I londinesi la battezzarono The Great Stink, La Grande Puzza.
Per capire come si arrivò a quel punto, bisogna guardare al progresso di quegli anni. Londra cresceva a dismisura. Le case si dotavano di latrine collegate a pozzi neri, svuotati periodicamente da netturbini. Il paradosso fu che a peggiorare le cose fu proprio la modernità: le nuove leggi sanitarie incoraggiarono i cittadini a collegare le abitazioni a un sistema fognario che aveva un unico sbocco, il fiume. L’idea era che la marea avrebbe “pulito” tutto, portando i rifiuti in mare. La realtà fu ben diversa: il Tamigi stava diventando una fogna a cielo aperto.
Nell’estate del 1858, la natura presentò il conto. Le acque basse lasciavano emergere banchi di fango nero e putrescente, mentre il sole accelerava la decomposizione. L’aria si saturò di vapori così pestilenziali che negli edifici del Parlamento, affacciati sul fiume, si tentarono rimedi disperati: i funzionari appesero alle finestre tende imbevute di cloruro di calce per filtrare il fetore. Non servì a nulla. La puzza era così insopportabile che le attività parlamentari furono sospese e si prese seriamente in considerazione l’idea di trasferire il governo fuori città.
Non era solo una questione di disgusto, ma di terrore. All’epoca dominava la teoria del miasma, secondo cui erano i cattivi odori a trasmettere le malattie. Londra aveva già subito epidemie di colera devastanti nel 1832, 1848 e 1854. Il medico John Snow, con il suo celebre studio sulla pompa di Broad Street, aveva già dimostrato che il vero veicolo del contagio era l’acqua contaminata, ma la sua teoria non era ancora accettata da tutti. Paradossalmente, fu proprio l’insostenibile puzza a spingere i politici ad agire: per i sostenitori del miasma, eliminare l’odore significava eliminare la malattia; per chi, come Snow, puntava il dito contro l’acqua, un nuovo sistema fognario avrebbe risolto il problema alla radice. In ogni caso, l’azione era diventata un’emergenza.
Spinto dalla crisi, il Parlamento agì con una rapidità senza precedenti. In una manciata di giorni, concesse fondi e poteri straordinari al Metropolitan Board of Works, guidato da un ingegnere che avrebbe cambiato il volto di Londra: Joseph Bazalgette. La sua idea era tanto semplice quanto geniale: costruire dei giganteschi collettori, chiamati fognature di intercettazione, che corressero paralleli al fiume. Questi avrebbero intercettato i liquami *prima* che raggiungessero il Tamigi, per poi trasportarli molto più a est, lontano dal centro abitato, dove potevano essere scaricati nell’estuario durante la bassa marea.
In pochi anni prese forma un’opera colossale. Circa 2.000 chilometri di condotte locali furono collegate a una rete di oltre 130 chilometri di collettori principali, costruiti con milioni di mattoni e un cemento innovativo. Le gallerie avevano una sezione a “uovo”, un’astuzia ingegneristica che permetteva di mantenere costante la velocità del flusso anche con poca acqua. Lungo le rive sorsero nuovi argini monumentali, come il Victoria Embankment, che non solo nascondevano le fognature ma crearono nuove strade, passeggiate e spazio per le tubature di acqua potabile e gas, e persino per la nascente metropolitana.
Bazalgette dimostrò una qualità rara: la lungimiranza. Calcolò le dimensioni del sistema non sulla base della popolazione di allora, ma sulla stima di crescita più alta possibile. Poi, per sicurezza, raddoppiò il risultato. Quella decisione geniale ha permesso a gran parte di quella rete fognaria di servire la metropoli di Londra ancora oggi, a oltre 150 anni di distanza.
I risultati furono immediati. Nel 1866, un’ultima, circoscritta epidemia di colera colpì un quartiere dell’East End non ancora allacciato al nuovo sistema. Fu la prova definitiva: dove l’acqua sporca era separata da quella potabile, il colera spariva. Da quel momento, la malattia non tornò mai più come piaga endemica a Londra.
La Grande Puzza non fu solo una crisi sanitaria, ma una potente lezione di civiltà. Insegnò al mondo che è l’infrastruttura invisibile a tenere in vita una metropoli. Dietro l’aria che respiriamo e l’acqua che beviamo, si nasconde un mondo sotterraneo di gallerie, pompe e mattoni, progettato per far sì che la nostra vita quotidiana funzioni senza intoppi. È una storia che intreccia paura collettiva, intuizione scientifica e volontà politica, dimostrando come un’emergenza possa costringere a prendere decisioni epocali. Dalla sconfitta dell’olfatto nacque una delle più grandi vittorie della salute pubblica moderna. Oggi, passeggiando lungo le sponde del Tamigi, ammiriamo gli argini senza pensare a ciò che scorre sotto i nostri piedi. Ma è proprio lì, nel buio, che Londra ha imparato a respirare di nuovo.
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