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Il grande blackout del 1965 che paralizzò New York e la costa nord-est degli Stati Uniti

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La sera del 9 novembre 1965, in piena ora di punta, milioni di persone tra Stati Uniti e Canada videro le luci spegnersi di colpo. Strade, case, stazioni della metropolitana, interi quartieri: tutto piombò nel buio. In pochi minuti, il blackout si estese come un’onda silenziosa dal sud dell’Ontario fino a New York, Boston e gran parte del New England, lasciando al buio circa 30 milioni di persone. Per riportare la luce sarebbero servite fino a 13 ore, un’eternità che trasformò quell’evento in uno dei più grandi blackout della storia moderna.

Come può un singolo guasto spegnere metropoli a centinaia di chilometri di distanza? La risposta è nella natura stessa della rete elettrica: un gigantesco e delicato sistema interconnesso. Nel 1965, le centrali e le linee ad alta tensione del nord-est degli Stati Uniti e del Canada funzionavano all’unisono. Quel giorno, in Ontario, vicino alla centrale idroelettrica Sir Adam Beck, un piccolo dispositivo di sicurezza, un relè, scattò per errore. Questi dispositivi sono progettati per isolare una linea se rilevano un’anomalia, ma un’impostazione sbagliata innescò il disastro.

Quando una linea così importante si disattiva, l’energia cerca altre vie, come un fiume in piena che rompe gli argini. Il carico si riversa sulle linee vicine, che si ritrovano immediatamente sovraccariche. Per proteggersi, anche i loro relè scattano, uno dopo l’altro. È il devastante effetto domino: in pochi minuti, porzioni sempre più grandi della rete si isolano e collassano. La frequenza della corrente crolla e le centrali elettriche si spengono per non subire danni catastrofici. Il risultato: il buio totale.

New York divenne il simbolo di quella notte. La metropolitana si bloccò tra le stazioni, gli ascensori rimasero sospesi con persone intrappolate e i vigili si trovarono a dirigere il traffico impazzito con le sole braccia. Ma non fu solo caos. Per le strade emersero scene di incredibile solidarietà: negozianti che regalavano candele, sconosciuti che si aiutavano a vicenda, volontari che assistevano chi era in difficoltà. Senza l’illuminazione artificiale, il cielo sopra Manhattan svelò un tappeto di stelle così nitido che molti abitanti non avevano mai visto prima.

Toronto e Boston vissero la stessa paralisi, con trasporti fermi e uffici evacuati, mentre gli ospedali si affidavano ai generatori d’emergenza. Le radio divennero l’unica voce, aggiornando la popolazione sull’evolversi della situazione. In quei giorni nacque una leggenda: si diffuse la voce che nove mesi dopo ci fu un baby boom, un’impennata di nascite. Analisi successive hanno smentito questa storia: fu un aneddoto simpatico, ma non supportato dai fatti.

Riaccendere una rete elettrica così vasta non è come premere un interruttore. Gli ingegneri dovettero ricollegare con pazienza le “isole” di rete rimaste spente, sincronizzare di nuovo le centrali e bilanciare i carichi per evitare nuove reazioni a catena. Se in molte zone la luce tornò nel giro di poche ore, il ripristino completo e stabile di tutte le interconnessioni richiese molto più tempo, consolidando la lezione sulla complessità del sistema.

Quel blackout fu una lezione tanto dura quanto preziosa. Le autorità capirono che la coordinazione tra regioni era fondamentale. Vennero gettate le basi per nuovi organismi di cooperazione e standard di sicurezza più rigidi, che oggi proteggono la rete nordamericana. Si imparò a calibrare i relè con più precisione e a sviluppare procedure di riavvio più efficaci.

L’evento del 1965 fu più di un semplice guasto: insegnò al mondo a considerare la rete elettrica come un organismo complesso e interdipendente. Le moderne smart grid, i sensori capaci di monitorare la rete in tempo reale e i piani di difesa contro i guasti a cascata sono, in gran parte, figli di quella notte in cui un piccolo errore in Canada mostrò al mondo intero la nostra profonda dipendenza dall’elettricità.

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