Nel cuore del deserto della Mauritania, un occhio immenso e silenzioso osserva il cielo. Largo quasi 50 chilometri, è una formazione così vasta che il suo disegno a cerchi concentrici si rivela solo dall’alto, come un bersaglio primordiale scolpito nella sabbia. Gli astronauti delle prime missioni spaziali lo usavano come punto di riferimento per orientarsi sopra l’Africa: lo battezzarono l’Occhio del Sahara. Per gli scienziati, è la Struttura di Richat, un capolavoro della natura che per decenni ha sfidato le spiegazioni più semplici.
All’inizio, la teoria più ovvia sembrava quella di un cratere da impatto. La forma quasi perfettamente circolare e l’ambiente desolato suggerivano l’urto catastrofico di un meteorite. Tuttavia, un’analisi più attenta ha smontato questa ipotesi. Mancavano le prove cruciali: non c’erano tracce di rocce “scioccate” dalle altissime pressioni, né le tipiche fratture a stella che un simile evento avrebbe lasciato. La struttura non era una conca, ma raccontava una storia completamente diversa: quella di un’enorme cupola geologica, sollevatasi dal profondo della Terra e poi pazientemente scoperchiata dal tempo e dal vento.
Immagina una gigantesca cipolla di roccia che cresce sotto la superficie. Milioni di anni fa, durante il Cretaceo, immense forze interne hanno spinto verso l’alto strati di rocce sedimentarie di età e durezza differenti: arenarie resistenti, calcari più morbidi e quarziti indistruttibili. Una volta emersa la cupola, l’erosione ha iniziato il suo lavoro certosino. Per quasi 100 milioni di anni, il vento carico di sabbia ha agito come uno scalpello, asportando gli strati più teneri e lasciando in rilievo gli anelli di roccia più dura. Il risultato è la straordinaria sequenza di cerchi che oggi ammiriamo, simili a onde pietrificate nel deserto.
Questa danza tra sollevamento ed erosione è anche la causa dei suoi colori spettacolari, visibili dalle orbite satellitari. Le tonalità rosse e arancioni appartengono alle arenarie ricche di ferro, le fasce più chiare sono composte da quarziti e calcari, mentre le strisce scure rivelano la presenza di antiche rocce vulcaniche. Non è un’opera d’arte umana, ma l’autobiografia geologica della Terra, scritta con i suoi stessi minerali.
Una delle curiosità più affascinanti è che, nonostante la sua imponenza, da terra la Struttura di Richat è quasi irriconoscibile. Chi si avventura al suo interno vede solo una successione di creste rocciose e letti di fiumi prosciugati, senza mai percepire il disegno d’insieme. È come trovarsi sulla pupilla di un gigante senza poterne ammirare il volto. Solo dal cielo i cerchi si svelano in tutta la loro maestosità. Ecco perché gli astronauti delle missioni Gemini e Apollo la fotografavano con stupore, vedendola spiccare tra le dune come un orologio cosmico inciso sul pianeta.
Per i geologi, Richat è un inestimabile laboratorio a cielo aperto. Gli anelli concentrici sono come le pagine di un libro di storia della Terra, ognuna rappresentante un’era diversa. La sua forma non è un cerchio perfetto, ma leggermente ellittica e interrotta in più punti, a testimonianza di come l’erosione abbia seguito antiche faglie e debolezze della crosta terrestre. Al centro, affiorano rocce antichissime, un cuore di pietra portato alla luce dopo un restauro naturale durato milioni di anni.
Sebbene nei suoi dintorni fioriscano luoghi di grande importanza storica come le antiche città carovaniere di Ouadane e Chinguetti, la Struttura di Richat resta un fenomeno puramente geologico. Le teorie che la collegano alla mitica Atlantide sono affascinanti, ma prive di qualunque fondamento scientifico. La sua vera magia non ha bisogno di leggende: risiede in ciò che è.
In un mondo abituato all’istante, questo gigante di roccia è un monumento alla lentezza. Racconta una storia di forze immense che agiscono su scale di tempo inimmaginabili, dove il deserto, apparentemente vuoto, si trasforma in un gigantesco atelier. E così, mentre l’Occhio del Sahara continua a guardare il cielo, il cielo lo ricambia, permettendoci di ammirare uno dei luoghi più incredibili del nostro pianeta: un punto d’incontro perfetto tra scienza, meraviglia e la sconfinata potenza della natura.
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