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Afantasia il raro glitch della mente che impedisce di creare immagini mentali

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Chiudi gli occhi e prova a immaginare una mela rossa. La vedi? Nitida, lucida, con la sua ombra proiettata sul tavolo? O nella tua mente c’è solo il concetto di una mela, un’idea senza immagine? Per molti, la scena mentale è quasi un film. Per altri, quell’“occhio della mente” è cieco. Questo fenomeno, tutt’altro che raro, ha un nome: afantasia.

Cos’è l’afantasia?

L’afantasia è la difficoltà, o la totale incapacità, di creare immagini visive mentali. Non è una malattia né un disturbo, ma una semplice variazione neurologica nel modo in cui il cervello elabora le informazioni. Chi ha afantasia sa perfettamente cos’è una mela e la riconosce senza esitazione, ma non riesce a “vederla” a occhi chiusi. È come conoscere la ricetta di un piatto senza poterne evocare il sapore nella mente.

Le stime indicano che riguarda circa il 2-5% della popolazione. Alcuni nascono così (afantasia congenita), altri la sviluppano in seguito a traumi cranici, ictus o eventi neurologici (afantasia acquisita). Il termine è stato coniato solo nel 2015 dal neurologo Adam Zeman, ma il dibattito sulla vividezza dell’immaginazione risale all’Ottocento, quando lo scienziato Francis Galton chiese a centinaia di persone di descrivere quanto fosse “reale” l’immagine mentale della loro tavola a colazione, scoprendo con sorpresa che per alcuni era completamente assente.

Come si scopre di averla

Molti convivono con l’afantasia per decenni senza saperlo, scoprendola per caso durante una conversazione con amici. Strumenti come il Vividness of Visual Imagery Questionnaire (VVIQ) aiutano a misurare scientificamente la vividezza della propria immaginazione. Esistono anche test sorprendenti: in molte persone, immaginare una luce intensa fa restringere le pupille come se fosse reale. In chi ha afantasia, questa reazione fisica spesso non avviene. In pratica, quando l’immaginazione dovrebbe innescare una risposta quasi-sensoriale, il cervello afantasico rimane “silenzioso”.

Vivere senza un cinema mentale

Come cambia la vita di tutti i giorni? Meno di quanto si pensi, ma in modi curiosi.

  • Lettura e storie: Chi ha afantasia può amare profondamente la lettura e i film. L’esperienza non è visiva, ma concettuale. Si seguono la trama, i dialoghi e le emozioni dei personaggi come un flusso di informazioni e sentimenti, non come un film proiettato nella testa.
  • Ricordi: I ricordi autobiografici tendono a essere più simili a un “diario di bordo” che a un “album fotografico”. Ci si ricorda cosa è successo, chi era presente, le parole dette e le emozioni provate, ma non si può “rivivere” la scena visivamente. La memoria non è peggiore, è semplicemente diversa: più verbale e fattuale.
  • Emozioni: L’assenza di immagini non significa assenza di emozioni. Tuttavia, alcuni studi suggeriscono che può ridurre l’impatto di reazioni legate a flash visivi, come i flashback post-traumatici. L’esperienza emotiva, però, rimane profondamente personale e intensa.
  • Sogni: Qui arriva la sorpresa. Moltissime persone con afantasia sognano con immagini vivide. La differenza fondamentale sta nel controllo: da svegli non possono creare immagini volontariamente, ma durante il sonno il cervello apre il sipario e lo spettacolo ha inizio.

Non solo immagini: la scala dei sensi mentali

L’afantasia può estendersi oltre la vista. C’è chi non visualizza ma può “sentire” perfettamente una canzone nella testa, o immaginare il tocco di un tessuto. Altri, invece, hanno difficoltà a evocare qualsiasi sensazione mentale: suoni, odori, sapori o tatto. All’estremo opposto c’è l’iperfantasia, la capacità di generare immagini mentali così vivide e dettagliate da sembrare quasi reali. La maggior parte delle persone si colloca in un punto intermedio di questo affascinante spettro.

Cosa succede nel cervello

Le ricerche di neuroimaging mostrano che, quando si chiede a una persona con afantasia di immaginare qualcosa, le aree della corteccia visiva si attivano molto meno del normale. Il “ponte” di comunicazione tra le regioni frontali (che danno il comando di immaginare) e quelle visive (che “disegnano” l’immagine) sembra essere meno trafficato. Non si tratta di un cervello “difettoso”, ma di un sistema operativo che preferisce gestire i concetti in modo più astratto e semantico che pittorico.

Curiosità che stupiscono

  • Personaggi geniali come Blake Ross (co-creatore di Firefox) e Ed Catmull (cofondatore di Pixar e pioniere della computer grafica) hanno dichiarato di avere afantasia. Questo dimostra che la creatività e l’innovazione non dipendono dalla capacità di “vedere” nella mente.
  • Se chiedi a una persona con afantasia di descriverti, potrebbe elencare i tuoi tratti (capelli scuri, occhi chiari), ma senza “vedere” il tuo viso. Eppure, ti riconoscerà istantaneamente nella vita reale.
  • Per risolvere problemi che tipicamente richiedono visualizzazione (come la rotazione mentale di oggetti), chi ha afantasia sviluppa strategie alternative potentissime basate su logica, regole spaziali e pensiero verbale.
  • La scoperta in età adulta può essere un piccolo shock. Sentir dire “ma come, tu vedi *davvero* le cose nella testa?” è una reazione comune e genuinamente sorpresa.

Un modo diverso di pensare

L’afantasia ci insegna che il pensiero ha mille strade. C’è chi naviga tra quadri mentali, chi tra parole, chi tra schemi logici. Non è un difetto, ma una diversa costellazione nel vasto universo della mente umana. Una che, invece di spegnere le stelle, ne accende di completamente nuove, basate su concetti, connessioni e una limpida comprensione del mondo.

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