Quando era ancora un bambino venne portato al manicomio senza alcun motivo per poi restarci per ben 42 anni, la sua storia ti farà riflettere

La storia che racconteremo è davvero triste, quasi si stenta a credere che una cosa del genere sia potuta succedere in un paese come l’Italia.

Alberto Paolini: una tristissima storia

Alberto Paolini, classe 1933, aveva solamente se stesso nei 42 anni passati in manicomio. Egli divenne orfano all’età di 11 anni e da quel momento ha dovuto far fronte a molti problemi: in primis il fatto che l’orfanotrofio gestito dalle suore aveva assunto un clima insostenibile (dato che le “sorelle” erano molto severe con lui); inoltre nella fase successiva, il povero Alberto venne adottato da una ricca signora svizzera che aveva grandi aspettative, anzi, troppo grandi per un bambino di quell’età. La nuova madre si lamentò del fatto che il bambino non manifestava vivacità e (perciò) decise di portarlo da diversi psichiatri. Anche se alcuni di questi psichiatri capirono subito che il motivo della sua scarsa vivacità era data dal triste passato del povero bambino e non da altri motivi, la madre non si “arrese” di fronte alla sentenza appena comunicata e perciò decise di portare Alberto in un manicomio, l’istituto Santa Maria della Pietà (siamo intorno all’anno 1948). Senza alcun motivo che potesse testimoniare che lui fosse veramente turbato mentalmente, l’adolescente Alberto Paolini venne trattenuto inizialmente per 15 giorni, ma per cause sconosciute questo tempo si è allungato di ben 42 anni.

“Avevo solo le mie tasche”: il racconto autobiografico di Alberto Paolini

Gran parte delle cose che gli sono successe sono state scoperte grazie alle memorie che sono state scritte da Paolini stesso. Una cosa che ha turbato molto l’opinione pubblica è data dall’elettroshockterapia, una pratica molto crudele alla quale, purtroppo, Alberto Paolini non ha potuto opporre resistenza:

Il risveglio dal coma era sempre una cosa molto penosa. Rimanevo a lungo stordito e in uno stato di profonda prostrazione. Mi sentivo ferito dentro, nell’intimo sentivo come se qualcuno avesse violentato la mia anima, avesse voluto introdursi in un posto che apparteneva solo a me per devastarlo. E io non potevo fare nulla per sottrarmi da questa situazione! Dopo alcune ore di grande stordimento, e di difficoltà a tenermi in piedi, nel pomeriggio mi riprendevo. Tuttavia, mi stavo accorgendo che, anche nei giorni successivi un qualche cambiamento si stava verificando in me. Ero caduto in uno stato di apatia e di depressione e non avevo più voglia di niente e stavo perdendo ogni interesse. Avevo una sensazione di disorientamento permanente. Stavo anche perdendo la memoria, e facevo fatica, io che avevo sempre avuto grande facilità a ricordare tutto, a ripercorrere quanto mi era accaduto nel passato. Era, questa, una sensazione assai penosa”.

Marchiato per sempre

Alberto esce ufficialmente dal manicomio nel 1990 (all’età di 57 anni). Ciononostante, la sua lunghissima esperienza ha lasciato dei segni che non potranno mai essere cancellati: avendo passato un’intera vita in manicomio è alquanto “normale” supporre che Alberto Paolini non era assolutamente in grado di potersi ambientare nella società (Dato che fino a quel momento non aveva mai avuto alcun tipo di relazione con il mondo esterno). Ciononostante, Alberto si trasferì in una casa famiglia insieme ad altri ex pazienti e lì ha dovuto cominciare a provvedere a se stesso cercandosi un lavoro.

La vicenda di Alberto Paolini diventa di dominio pubblico

La vicenda assunse grande notorietà e visibilità nel 2016 quando la Mondadori pubblicò il libro autobiografico di Alberto Paolini. Molti si chiesero il motivo del titolo del libro “Avevo solo le mie tasche”; la risposta che darà lo stesso autore rivelerà molto più del previsto:

A partire dal 1962  ho cominciato a scrivere un diario, però non avevo modo di conservare le cose che scrivevo se non tenendole in tasca e così scrivevo in piccolo e il più conciso possibile, in modo che lo scritto non occupasse molto spazio nelle tasche. Questo accadeva perché io ho avuto sempre problemi per sistemare le cose, non sapevo dove metterle. Non è che al Santa Maria avevamo un armadio. Negli ultimi tempi avevano distribuito degli armadietti, dei comodini più che altro, però servivano a metterci i vestiti, le scarpe; io ci mettevo anche altre cose, però questi comodini non si potevano chiudere e quindi era facile che qualcuno andasse a rovistarci. Perciò, restavano solo le tasche.

Dalla vicenda che abbiamo appena descritto appare molto chiaro che il povero protagonista è stato sfortunatissimo nell’esser stato trascinato da una serie infinita di eventi che hanno finito col rovinargli la vita. Ciononostante, lui non si è mai perso d’animo ed ha deciso di sopravvivere a tutto questo grazie all’amore per la scrittura, lo stesso amore che gli ha dato la forza di poter raccontare tutto questo con estrema lucidità.

Il libro “Avevo solo le mie tasche. Manoscritti dal manicomio” si può trovare sulla piattaforma di Amazon. CLICCA QUI

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