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Tardigrado l’orso d’acqua quasi immortale che sfida spazio radiazioni e temperature estreme

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Immagina un animaletto lungo meno di un millimetro, con otto zampette tozze e un musetto buffo che ricorda un piccolo orso. Vive ovunque: tra i filamenti di un muschio, su una foglia umida, in una pozzanghera o sul fondo del mare. Eppure, quando le condizioni diventano estreme, questo minuscolo essere compie una trasformazione quasi fantascientifica. Si addormenta, si secca quasi del tutto e rallenta le sue funzioni vitali fino a renderle impercettibili. Così, può superare sfide che ucciderebbero qualunque altro organismo. Questo è il tardigrado, conosciuto anche come “orso d’acqua”, uno dei più incredibili campioni di resistenza del regno animale.

La sua storia affascina gli scienziati da secoli. Fu scoperto nel 1773 dal naturalista Johann August Ephraim Goeze, che lo vide al microscopio e lo soprannominò “orso d’acqua” per la sua andatura goffa. Pochi anni dopo, Lazzaro Spallanzani lo battezzò scientificamente Tardigrada, che significa “camminatore lento”. Da allora, la scienza non ha mai smesso di stupirsi: ovunque ci sia un po’ di umidità, dal gelo dei poli ai deserti più aridi, c’è la possibilità di trovare un tardigrado.

Il suo superpotere si chiama criptobiosi, una forma estrema di sopravvivenza. Quando l’ambiente diventa insopportabile, il tardigrado ritira le zampe, si accartoccia su sé stesso e si trasforma in una pallina compatta chiamata “tun”. In questo stato, perde quasi il 97% della sua acqua e il suo metabolismo crolla del 99,9%, rallentando a un livello quasi nullo. In questa forma, può resistere a temperature vicine allo zero assoluto (-273°C) e, per brevi periodi, a calore superiore ai 150°C. Sopravvive a pressioni schiaccianti, al vuoto e alle radiazioni dello spazio. In diversi esperimenti condotti in orbita, alcuni tardigradi sono tornati alla vita dopo essere stati esposti al vuoto cosmico e a dosi di radiazioni letali per quasi ogni altra forma di vita.

Come ci riesce? Il segreto è nella sua biochimica unica. Le cellule del tardigrado producono proteine speciali che, durante l’essiccamento, trasformano l’interno della cellula in una specie di “vetro” molecolare. Questo processo, detto vitrificazione, immobilizza le delicate strutture cellulari, impedendo che si rompano. Inoltre, possiedono una proteina scudo per il loro DNA, chiamata Dsup (dall’inglese “damage suppressor”, soppressore di danni), che lo protegge dagli effetti devastanti delle radiazioni. A differenza di altri organismi che usano zuccheri per proteggersi, i tardigradi si affidano a queste proteine flessibili e “morbide”, che creano una rete protettiva. Quando l’acqua ritorna, il “vetro” si scioglie e la vita riparte come se nulla fosse.

Non è magia, ma una straordinaria applicazione di fisica e chimica. Tuttavia, il tardigrado non è invincibile. Un’esposizione prolungata a calore estremo o a radiazioni UV dirette può ucciderlo. Se non trova le condizioni per “risvegliarsi” e nutrirsi, alla fine muore. La sua resistenza è l’arte di attendere che la tempesta passi, non di sfidarla all’infinito.

Ma i suoi record restano sbalorditivi. Alcuni esemplari sono stati riattivati dopo essere rimasti congelati per 30 anni. Altri hanno sopportato pressioni 6.000 volte superiori a quella atmosferica. Possono tollerare dosi di radiazioni centinaia di volte più elevate di quelle fatali per l’uomo. La sua vita attiva, però, è molto più semplice: si muove lentamente in ambienti umidi, nutrendosi di alghe, batteri e altre piccole particelle. Caccia con una bocca a tubo dotata di stiletti affilati e si aggrappa alle superfici con i suoi artigli microscopici. È una creatura tranquilla, che svolge il suo ruolo nell’ecosistema senza sapere di essere una star della biologia.

Perché studiarlo è così importante? Perché i suoi segreti potrebbero rivoluzionare il nostro futuro. Capire come le sue proteine proteggono cellule e DNA potrebbe portare a nuovi metodi per conservare farmaci, vaccini e organi senza bisogno di catene del freddo. Potremmo creare materiali ispirati alla sua vitrificazione, utili in medicina e nell’industria. Persino l’esplorazione spaziale potrebbe imparare da questo minuscolo maestro di sopravvivenza: come mettere in pausa la vita per riattivarla in mondi lontani e ostili?

Nel grande libro della natura, il tardigrado sembra una piccola nota a margine. Ma a un esame più attento, si rivela un intero capitolo su come la vita possa adattarsi alle condizioni più impossibili. Questo piccolo “orso” ci insegna che la resilienza non è solo forza bruta, ma flessibilità, ingegno e la capacità di fermarsi al momento giusto. È difficile non restare a bocca aperta davanti a un essere che può attraversare il gelo, il fuoco, il vuoto e le radiazioni dello spazio, per poi tornare a zampettare su un muschio come se niente fosse.

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