Ti è mai capitato di fissare una parola semplice, come “casa”, fino a che non ti è sembrata improvvisamente strana, quasi scritta in un’altra lingua? O di guardare il volto di una persona cara e, per un istante, sentirlo estraneo? Non stai impazzendo: questa è l’esperienza del jamais vu, che in francese significa letteralmente “mai visto”. È l’esatto contrario del più famoso déjà vu, quella sensazione in cui una situazione nuova ci appare stranamente familiare. Con il jamais vu, accade l’opposto: ciò che conosciamo alla perfezione si trasforma, per un attimo, in qualcosa di totalmente sconosciuto. Un piccolo corto circuito nel nostro cervello, un “glitch” che disconnette la memoria dal senso di familiarità.
Questo fenomeno affascinante ci svela quanto sia fragile e dinamica la nostra percezione della realtà. Il cervello è una macchina efficiente che riconosce schemi per risparmiare energia. Quando incroci lo sguardo di un amico, non stai solo vedendo un volto: stai attivando una complessa rete neurale dedicata al riconoscimento, alla memoria e, soprattutto, a quel senso di familiarità. Queste reti, localizzate principalmente nelle regioni temporali del cervello (come l’ippocampo), di solito funzionano in perfetta sincronia. Nel jamais vu, questo allineamento salta. Il segnale della familiarità si indebolisce o si sfascia, e ciò che conosci benissimo appare di colpo nuovo, quasi alieno.
Un indizio su come questo accada ci arriva dalla stanchezza cognitiva. Quando ripetiamo in modo ossessivo una parola o un’azione, il sistema neurale che ci dice “questo lo conosco” va in sovraccarico. È un fenomeno noto come “sazietà semantica”: prova a ripetere la parola “sedia” per trenta secondi e vedrai che, a un certo punto, perderà ogni significato, diventando solo un suono vuoto. Il ricercatore Chris Moulin ha dimostrato questo effetto in modo sperimentale: chiedendo ai partecipanti di scrivere ripetutamente la stessa parola, ha notato che dopo poche righe molti iniziavano a dubitare della sua correttezza, percependola come “sbagliata” o sconosciuta. È la prova che la familiarità non è un interruttore on/off, ma un delicato equilibrio che può rompersi.
Non si tratta solo di parole. Il jamais vu può manifestarsi nella vita di tutti i giorni. Magari stai guidando su un percorso che fai da una vita e, per un istante, le strade ti sembrano nuove. Oppure stai suonando un brano a memoria e le dita esitano, come se non conoscessero più la melodia. A volte succede anche firmando il proprio nome, che d’un tratto appare strano, quasi non fosse il tuo. Questi episodi emergono spesso in condizioni di forte stress, mancanza di sonno o monotonia. Il cervello, per risparmiare risorse, abbassa la guardia e, per una frazione di secondo, il sistema della familiarità va in tilt.
Il termine è nato nella cultura scientifica francese di fine Ottocento, come naturale controparte del più celebre déjà vu. Se il cervello può creare una finta familiarità per ciò che è nuovo (déjà vu), è logico che possa anche cancellare la familiarità da ciò che è noto (jamais vu). Entrambi i fenomeni ci dimostrano che la nostra mente non scatta fotografie della realtà, ma la interpreta e la costruisce in tempo reale.
Per capire meglio, ecco alcuni concetti chiave dal mondo delle neuroscienze:
- Familiarità vs. Ricordo: Riconoscere un volto è un processo rapido e quasi inconscio (familiarità). Ricordare dove hai conosciuto quella persona è un processo più lento e consapevole (ricordo). Il jamais vu colpisce principalmente il primo, quel segnale istantaneo di familiarità.
- Fluidità di elaborazione: Se il cervello elabora un’informazione senza sforzo, la percepisce come familiare. Quando questa fluidità crolla (per stanchezza o ripetizione), anche la sensazione di familiarità svanisce.
- Errore di predizione: Il nostro cervello anticipa costantemente ciò che sta per percepire. Se, per qualche motivo, la previsione non combacia con la realtà, si genera un “segnale di errore” che possiamo interpretare come un senso di estraneità.
Esistono anche forme cliniche. Alcune crisi epilettiche localizzate nel lobo temporale possono scatenare esperienze di déjà vu o, più di rado, di jamais vu. Anche in alcuni disturbi d’ansia o stati dissociativi la sensazione di estraneità può essere più forte e duratura. La differenza fondamentale sta nella frequenza e nell’intensità: un episodio di jamais vu comune è fugace e innocuo. Se invece queste sensazioni diventano persistenti, angoscianti o si accompagnano ad altri sintomi, è sempre buona norma parlarne con un professionista.
Cosa puoi fare quando ti capita? Assolutamente nulla di complicato. Fermati, distogli lo sguardo, cambia attività per un minuto. Un respiro profondo o una piccola pausa possono bastare a “resettare” l’attenzione e a rimettere in sincrono percezione e memoria. È incredibile quanto velocemente il cervello si rimetta in carreggiata.
Perché questo fenomeno ci affascina così tanto? Perché ci svela, con un’eleganza quasi disarmante, che la realtà non è qualcosa di oggettivo “là fuori”. È un’esperienza che viene costruita attivamente dentro di noi, istante per istante. Il jamais vu è il gentile promemoria del nostro cervello: anche ciò che diamo per scontato è il risultato di una danza complessa tra memoria, attenzione e aspettativa. E in questa danza, a volte, una nota stona. Ma è proprio quella stonatura a rivelarci la meraviglia del sistema: non è perfetto, ma è incredibilmente umano.
La prossima volta che una parola familiare ti sembrerà strana o un volto amico ti apparirà per un attimo nuovo, non spaventarti. Stai solo dando una sbirciatina dietro le quinte della tua mente, nel laboratorio segreto dove la realtà viene costruita, smontata e ricostruita in un batter d’occhio.
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