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La grande inondazione di birra del 1814 a Londra: il disastro del birrificio Meux & Co.

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Londra, 1814. Nel tardo pomeriggio, un boato profondo e anomalo spezza la quiete del quartiere di St. Giles. Non è un tuono, ma il suono spaventoso di una gigantesca cisterna che si schianta al suolo. Siamo all’interno del celebre birrificio Meux & Co., a pochi passi da Tottenham Court Road, e l’impensabile è appena successo.

In un istante, una massa di oltre 610.000 litri di birra Porter si scatena come un’onda d’urto, travolgendo tutto ciò che incontra. La sua forza inarrestabile colpisce a catena le altre cisterne, provocando un disastro di proporzioni bibliche. Il risultato è un’alluvione surreale: quasi un milione e mezzo di litri di birra scura e schiumosa si riversano fuori dal birrificio, trasformando le strade del povero quartiere in un fiume mortale. È nato il tsunami di birra.

Per capire la causa, bisogna immaginare la Londra industriale di inizio Ottocento. La Porter era la bevanda del popolo e i birrifici gareggiavano a chi costruiva tini di fermentazione più imponenti. Queste vasche erano colossi di legno alti svariati metri, tenuti insieme da pesanti cerchi di ferro. Ma il legno è un materiale vivo, e la manutenzione era cruciale. Proprio quel giorno, un operaio aveva notato che uno dei cerchi di ferro di una cisterna si era allentato in modo preoccupante. Era un chiaro segnale di pericolo, ma fu sottovalutato. Pochi minuti dopo, la pressione divenne insostenibile e la struttura esplose.

L’onda nera e densa, alta diversi metri, si abbatté sulle strade con una violenza inaudita. Non era semplice liquido, ma un muro d’acqua pesante che spazzava via ogni cosa. La forza d’urto sfondò le pareti di mattoni come fossero di cartone, distrusse due case e fece crollare il muro di una taverna vicina, dove morì una giovane barista. Le stradine strette e i cortili di St. Giles, uno dei sobborghi più miseri della città, agirono da imbuto, accelerando la furia della corrente.

La vera tragedia si consumò nei seminterrati, dove vivevano intere famiglie in condizioni disperate. La birra si incanalò rapidamente in questi spazi angusti, riempiendoli in pochi secondi e trasformandoli in trappole mortali. Alla fine si contarono otto persone morte, principalmente donne e bambini, annegate nel fiume scuro o schiacciate dalle macerie delle loro stesse case.

Le cronache dell’epoca dipingono un quadro apocalittico. L’odore acre di birra impregnò il quartiere per giorni e, secondo alcuni racconti, i cittadini disperati cercarono di raccogliere il prezioso liquido con secchi, pentole e persino cappelli. Una scena grottesca che testimonia la povertà dilagante e l’incredulità di fronte a un simile evento.

Il seguito giudiziario fu ancora più amaro della birra versata. In tribunale, la catastrofe fu classificata come un “atto di Dio”, una formula legale per definire un incidente imprevedibile e fuori dal controllo umano. Nessuno fu ritenuto colpevole. Il birrificio non solo evitò di pagare i risarcimenti, ma ottenne dallo Stato il rimborso delle tasse sulla birra andata distrutta, salvandosi così dal fallimento. Il luogo della tragedia, il Horseshoe Brewery, fu infine demolito e al suo posto, decenni dopo, sorse il Dominion Theatre, quasi a voler seppellire sotto un palcoscenico il ricordo di quelle vite perdute.

La grande inondazione di birra del 1814 resta uno degli incidenti più bizzarri e tragici della storia industriale. Un racconto che fa sorridere per l’assurdità della situazione, ma che lascia un sapore amaro: quello di un’epoca di sfrenata ambizione industriale, dove la sicurezza era un lusso e la vita dei poveri valeva meno di una partita di birra. Una lezione su come la corsa al “più grande” senza la dovuta cautela possa annegare le vite più fragili in un mare di indifferenza.

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