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Fuoco Greco: Il Mistero dell’Arma Bizantina che Bruciava anche sull’Acqua

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Immagina di essere su una nave nel Mediterraneo dell’Alto Medioevo. Il mare è calmo, il cielo limpido. All’improvviso, dalla prua delle navi bizantine spuntano lunghi tubi di metallo e una lingua di fuoco liquido si abbatte sulle imbarcazioni nemiche. Le fiamme non solo divorano legno, corde e vele, ma continuano a bruciare sull’acqua, come se il mare stesso fosse diventato combustibile. Per chi assisteva a quella scena non era semplice tecnologia: era terrore puro. Quell’arma infernale aveva un nome destinato a diventare leggenda: il fuoco greco.

La storia fa risalire il suo debutto al 672 d.C., durante la difesa di Costantinopoli contro la flotta del Califfato omayyade. La tradizione vuole che un ingegnere di nome Kallinikos, fuggito dalla Siria, abbia portato la formula all’Impero Bizantino. I bizantini perfezionarono non solo la miscela, ma anche i sistemi per scagliarla: sifoni di bronzo montati sulle navi, pompe e mantici per pressurizzare il liquido e una fiamma d’innesco alla bocca del tubo. Di fatto, era un potente antenato del moderno lanciafiamme, concepito per dominare le battaglie navali.

Perché sembrava bruciare più forte a contatto con l’acqua? La spiegazione più probabile unisce chimica e necessità pratica. La miscela era quasi certamente a base di petrolio greggio, o nafta, che galleggiando sull’acqua si espandeva in un tappeto di fiamme inarrestabile. A questo si aggiungeva l’ipotesi della calce viva (ossido di calcio): a contatto con l’acqua, questa scatena una reazione chimica che produce calore, alimentando ulteriormente l’incendio. Resine e pece rendevano il composto denso e appiccicoso, capace di aderire a ogni superficie. Il risultato era un’arma dove l’acqua, invece di spegnere il fuoco, diventava parte del problema.

La ricetta era un segreto di Stato, protetto con ogni mezzo. Non esiste un manuale medievale che ne descriva la preparazione. Anzi, le fonti bizantine suggeriscono che la produzione fosse frammentata: un gruppo lavorava sugli ingredienti, un altro sui sistemi di pompaggio, un altro ancora sugli inneschi. Nessuno, tranne forse l’imperatore stesso, possedeva l’intero sapere. La formula originale è andata perduta. Oggi gli storici, basandosi sulle cronache, ipotizzano che contenesse nafta, zolfo, calce viva, resine e forse salnitro. Ma sono solo ipotesi: la ricetta esatta rimane un mistero.

L’impatto strategico fu enorme. Il fuoco greco salvò Costantinopoli in più occasioni, ribaltando l’esito di battaglie navali che sembravano perdute. Le cronache descrivono equipaggi specializzati, i sifonari, addestrati a manovrare i getti incendiari con precisione letale. Esistevano anche versioni portatili, i cheirosifoni (lanciafiamme a mano), e granate in ceramica riempite di miscela da lanciare contro i nemici. Per difendersi, gli avversari usavano sabbia, aceto o pelli imbevute d’acqua nel disperato tentativo di soffocare le fiamme, metodi improvvisati ma che anticipano alcune moderne tecniche antincendio.

Attorno al fuoco greco nacquero molte leggende. Si diceva che bruciasse persino sott’acqua: più realisticamente, bruciava sulla superficie con tale violenza da dare quell’impressione. Qualcuno lo paragona al napalm moderno, ma il confronto è utile solo a rendere l’idea della sua potenza devastante; la tecnologia e la chimica erano uniche e figlie del loro tempo.

Come si perse un simile segreto? Non fu un evento singolo, ma un lento declino. Con il passare dei secoli, il mutare delle tattiche di guerra e la dispersione degli artigiani specializzati, il sapere iniziò a svanire. Le crisi che colpirono l’Impero, come il devastante sacco di Costantinopoli del 1204, accelerarono la fine, rendendo impossibile tramandare una conoscenza così complessa. Quando la catena di trasmissione si spezzò, il fuoco greco scivolò dalla storia alla leggenda.

Proprio in questo risiede il suo fascino eterno: era una tecnologia avanzatissima, nata da un connubio geniale di scienza empirica, ingegneria e segretezza militare. Un’arma che dimostra come l’ingegno umano possa cambiare il corso della storia. E il fatto che la sua formula sia rimasta nascosta tra le pieghe del tempo, forse per sempre, aggiunge un velo di mistero a una delle invenzioni più temute e spettacolari di tutti i tempi.

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