1765137758389_YvasVE1O

Sindrome di Capgras: Quando il Cervello Trasforma le Persone Care in Sosia Perfetti

Condividi l'articolo

Immagina di guardare tua madre, il tuo partner o un amico di una vita. Riconosci alla perfezione i suoi tratti, la voce, le abitudini, ma dentro di te qualcosa non torna. Manca quella scintilla di familiarità, quel calore che da sempre accompagna il suo volto. Il tuo cervello, di fronte a questo inspiegabile conflitto, partorisce una soluzione estrema e terrificante: quella non è la persona che ami, ma un impostore, un sosia perfetto che l’ha sostituita. Non è la trama di un film di fantascienza. È la sindrome di Capgras, uno dei disturbi neurologici più inquietanti e affascinanti mai studiati.

Per capire come una convinzione così potente possa nascere, dobbiamo immaginare il riconoscimento di un volto come un processo a due vie che corrono in parallelo nel nostro cervello. La prima è la via del riconoscimento visivo: aree specifiche del cervello analizzano i tratti somatici e ci dicono: “Questo è il volto di mia madre”. La seconda è la via della risposta emotiva: un circuito che coinvolge il sistema limbico (il nostro centro delle emozioni) genera quel senso di calore, familiarità e attaccamento. Quando le due vie funzionano in sintonia, non solo “vediamo” chi abbiamo di fronte, ma “sentiamo” che è proprio quella persona.

Nella sindrome di Capgras, questo meccanismo va in cortocircuito. La via visiva funziona perfettamente, ma quella emotiva è bloccata. Il volto viene identificato, ma non evoca alcuna reazione affettiva. È come guardare una fotografia impeccabile ma completamente muta, priva della sua colonna sonora emotiva. Il cervello odia i paradossi: se ciò che vedo dice “è mia madre”, ma ciò che sento urla “è un estraneo”, l’ipotesi dell’impostore diventa, per la mente, la spiegazione più logica per risolvere un conflitto insopportabile.

Questa condizione sconcertante fu descritta per la prima volta nel 1923 dallo psichiatra francese Joseph Capgras, che la chiamò “illusione dei doppioni”. Da allora, gli studi hanno svelato dettagli incredibili. Le misurazioni della risposta corporea, ad esempio, mostrano che nelle persone con questa sindrome manca la tipica micro-scarica elettrica sulla pelle (conduttanza cutanea) di fronte a un volto familiare. Succede l’esatto contrario in un disturbo speculare, la prosopagnosia (l’incapacità di riconoscere i volti): chi ne soffre non sa dire chi ha davanti, ma il suo corpo reagisce con un picco emotivo inconscio ai visi delle persone care. Due facce della stessa, fragile medaglia.

Un dettaglio che lascia senza parole è che, a volte, la sindrome svanisce durante una telefonata. La voce, sentita senza vedere il volto, può riattivare quel canale emotivo interrotto, facendo percepire la persona come “autentica” per tutta la durata della chiamata. Questo ci mostra quanto i nostri sensi siano intrecciati in modo complesso con le nostre emozioni.

Esistono varianti altrettanto bizzarre. Nella sindrome di Fregoli, chi ne soffre è convinto che persone diverse siano in realtà un unico persecutore che continua a cambiare aspetto. Altri pazienti estendono il delirio del “doppione” ai propri animali domestici, a oggetti personali o persino alla propria casa, percepita come una copia identica ma non originale. C’è chi arriva a non riconoscere la propria immagine allo specchio, convinto che quel riflesso sia qualcun altro che imita perfettamente ogni suo gesto.

Ma cosa causa una disconnessione così profonda? Le origini sono diverse e possono includere traumi cerebrali, ictus, malattie neurodegenerative come la demenza a corpi di Lewy e l’Alzheimer, o manifestarsi all’interno di disturbi psicotici. Non è una fantasia, né una scelta. È il tentativo disperato di un cervello danneggiato di rimettere ordine in un mondo sensoriale diventato caotico, usando la spiegazione più coerente a sua disposizione.

Per affrontare una condizione simile, l’approccio non può essere quello di sfidare il delirio. Dire “Ma sono davvero io!” spesso non fa che aumentare l’angoscia e la diffidenza. La terapia si concentra sulla causa sottostante, quando possibile, e su strategie di supporto. Creare un ambiente sereno e rassicurante, con routine stabili, è fondamentale. L’obiettivo non è “convincere” il paziente, ma ridurre la sua paura e aiutarlo a sentirsi al sicuro, convalidando la sua emozione di smarrimento senza confermare il delirio.

La sindrome di Capgras è rara, ma ci lascia un messaggio universale e potente. Ci ricorda quanto sia sofisticato e fragile il modo in cui costruiamo la nostra realtà. Il fatto che basti un singolo filo scollegato nel cervello per trasformare il volto più amato in quello di un estraneo è una testimonianza impressionante di come percezione, memoria ed emozione lavorino insieme per dare un significato al nostro mondo. Ogni volta che guardiamo una persona cara, non stiamo solo vedendo un’immagine: stiamo vivendo la perfetta fusione di ciò che vediamo e di ciò che sentiamo. Quando queste due vie si separano, l’immagine resta, ma il significato svanisce. Ed è in quel vuoto che la mente, creativa e disperata, costruisce il suo sosia.

Potrebbe interessarti:

Torna in alto