Immagina una città nascosta sotto decine di metri di neve e ghiaccio, lontana da occhi indiscreti, dove scienziati e militari vivevano, lavoravano e dormivano al riparo dal gelido vento artico. Questa non è la trama di un film, ma una storia vera: la città si chiamava Camp Century, costruita dall’esercito degli Stati Uniti sotto la calotta glaciale della Groenlandia negli anni Sessanta, in piena Guerra Fredda. Oggi, quel villaggio fantasma torna a far parlare di sé per un motivo tanto sorprendente quanto inquietante: il cambiamento climatico potrebbe riportarlo in superficie, insieme a tutti i rifiuti tossici che si pensava fossero sepolti per sempre.
Camp Century nacque come un progetto audace e quasi fantascientifico. L’idea era scavare chilometri di gallerie nel ghiaccio, coprirle con arcate d’acciaio e neve compressa per creare ambienti abitabili a temperatura costante. Al suo interno c’era tutto: dormitori, una mensa, laboratori, officine e persino una cappella. A fornire energia a questa città sotterranea era un piccolo reattore nucleare portatile, una tecnologia avveniristica per l’epoca. Ufficialmente, la base serviva a condurre ricerche sull’Artico. In segreto, però, era la copertura per un piano ben più ambizioso: Project Iceworm, che mirava a testare la possibilità di nascondere centinaia di missili nucleari sotto il ghiaccio, a portata di tiro dell’Unione Sovietica.
Dal punto di vista scientifico, l’eredità di Camp Century è stata straordinaria. Qui vennero estratte le prime carote di ghiaccio profonde, cilindri che conservano, come le pagine di un libro, la storia del nostro pianeta. Analizzando le bolle d’aria, le polveri e le sostanze chimiche intrappolate in quegli strati, i ricercatori hanno ricostruito la storia dell’atmosfera e le oscillazioni climatiche del passato. Molti anni dopo, un’altra scoperta sensazionale: nei sedimenti recuperati dal fondo del carotaggio sono state trovate tracce di piante fossili. Questo suggerisce che parti della Groenlandia, in un passato geologicamente recente, erano prive di ghiaccio e ricoperte di vegetazione, un indizio potentissimo sulla fragilità della calotta glaciale.
Tuttavia, il ghiaccio è una forza inarrestabile. Non è statico: si muove, si deforma e schiaccia lentamente qualunque cosa si trovi al suo interno. Dopo pochi anni, le gallerie di Camp Century cominciarono a deformarsi e cedere, rendendo la manutenzione insostenibile. La base fu ufficialmente abbandonata nel 1967. Il reattore nucleare venne smantellato e portato via, ma tutto il resto fu lasciato indietro, con la convinzione che la neve e il ghiaccio avrebbero sigillato per sempre i rifiuti. Sotto la superficie rimasero tonnellate di carburante diesel, sostanze chimiche pericolose come i PCB, scarti di laboratorio e acque reflue contenenti rifiuti biologici.
Oggi, quella convinzione si sta sciogliendo. Con il riscaldamento globale, la Groenlandia perde massa glaciale a un ritmo allarmante. Gli scienziati prevedono che, se lo scioglimento continuerà a questo ritmo, i rifiuti tossici di Camp Century potrebbero essere riportati alla luce e trasportati dalle acque di fusione fino all’oceano. Non è una minaccia imminente, ma un rischio concreto che solleva domande complesse: chi è responsabile della bonifica? Come si può intervenire in un ambiente così estremo? E come si gestisce un’eredità storica che è anche un serio problema ambientale?
La questione ha anche profonde implicazioni politiche. La base fu costruita su territorio della Danimarca (di cui la Groenlandia è parte) con un accordo che ne autorizzava l’uso per scopi scientifici, mentre la sua vera natura militare rimase segreta. Ora, Stati Uniti, Danimarca e Groenlandia si trovano a dover gestire una responsabilità condivisa per un problema che non rispetta confini nazionali. Le sostanze inquinanti, una volta liberate, possono viaggiare per migliaia di chilometri.
Camp Century è una parabola perfetta del nostro tempo: un’avventura ai confini del mondo, un segreto della Guerra Fredda e una bomba a orologeria ambientale. Ci ricorda che la criosfera, il mondo dei ghiacci, non è un paesaggio inerte, ma un archivio vivente che custodisce la nostra storia e, talvolta, le nostre responsabilità dimenticate. E ci avverte che ciò che nascondiamo sotto il ghiaccio è destinato a riemergere, tornando a parlarci proprio mentre il pianeta si scalda.
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