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Come l’Acqua Diventa un Telescopio per Svelare i Segreti dei Buchi Neri

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Quando pensiamo allo spazio e ai buchi neri, di solito ci vengono in mente telescopi giganteschi puntati verso il cielo notturno. Eppure esiste un legame sorprendente e poco conosciuto tra l’acqua e la nostra capacità di studiare questi misteriosi oggetti cosmici. Non serve immergersi in un oceano per osservare un buco nero: l’acqua, infatti, gioca un ruolo fondamentale in alcune delle ricerche scientifiche più all’avanguardia, permettendoci di “vedere” ciò che l’occhio umano non può percepire direttamente.

Un buco nero non emette luce, e per questo non possiamo osservarlo come si fa con una stella. Possiamo tuttavia individuarne la presenza studiando la materia e la luce che gli orbitano intorno, oppure rilevando particelle e radiazioni emesse indirettamente quando interagisce con l’ambiente circostante. Per queste osservazioni, gli scienziati non si affidano solo a telescopi ottici, ma utilizzano anche strumenti in grado di captare particelle subatomiche, come i neutrini.

I neutrini sono particelle minuscole, quasi prive di massa, capaci di attraversare interi pianeti senza fermarsi. Possono provenire da eventi estremi, come la fusione di stelle di neutroni o la caduta di materia in un buco nero. Sono così sfuggenti che per rilevarli servono luoghi particolari: enormi vasche di acqua o blocchi di ghiaccio purissimo, situati in profondità e lontano da fonti di disturbo. E qui entra in gioco l’acqua.

Esperimenti come Super-Kamiokande in Giappone o IceCube in Antartide osservano lo spazio “sott’acqua” o meglio attraverso immense masse di acqua o di ghiaccio. Questi strumenti rilevano i rarissimi segnali lasciati dai neutrini durante il loro passaggio: un lampo di luce chiamato radiazione Cherenkov. Questa luce, invisibile all’occhio umano senza strumenti speciali, è il segno che un neutrino ha interagito proprio lì. Più l’acqua è pura e stabile, più il segnale risulta nitido e comprensibile.

È affascinante pensare che, per capire cosa accade a miliardi di anni luce di distanza, utilizziamo enormi serbatoi d’acqua nascosti in profondità. L’acqua funziona come un gigantesco “filtro” che elimina i disturbi di fondo e lascia passare solo l’informazione preziosa. In un certo senso, è come trasformare l’acqua in un telescopio invisibile: un occhio capace di rilevare non la luce normale, ma quella generata dai fenomeni più estremi dell’Universo.

Ma il ruolo dell’acqua non si ferma qui. Anche nelle simulazioni al computer, viene studiato il comportamento della luce al suo interno, per perfezionare le tecnologie che analizzano questi segnali. Conoscere nel dettaglio come la radiazione si propaga in un liquido permette di migliorare la precisione delle misurazioni e di ricostruire eventi cosmici che si sono verificati in luoghi inaccessibili fisicamente.

Il risultato è straordinario: restando sulla Terra, possiamo raccogliere informazioni cruciali sui buchi neri e su altri eventi cosmici estremi, ascoltando e “vedendo” i messaggeri subatomici che hanno viaggiato per milioni o miliardi di anni nello spazio. E il mezzo che rende possibile tutto questo non è un’antenna spaziale futuristica, ma qualcosa di semplice, familiare e vitale: l’acqua. Un elemento comune che, nelle mani della scienza, diventa una finestra aperta verso l’ignoto più remoto.

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