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Il linguaggio segreto degli alberi e la rete invisibile che protegge le foreste

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Immagina una foresta come una città invisibile di messaggi. Non ci sono sirene né megafoni, eppure quando un albero viene attaccato da un insetto, la notizia corre veloce. La chiamata d’emergenza viaggia nell’aria sotto forma di profumi: minuscole molecole volatili che noi percepiamo al massimo come odori di resina o di foglia schiacciata, ma che per le piante sono veri e propri telegrammi chimici.

Quando un bruco inizia a masticare una foglia, la pianta se ne accorge. Non confonde uno strappo di vento con un morso: nella saliva degli erbivori ci sono segnali che svelano il tipo di aggressore. In pochi minuti l’albero attiva una cascata interna di ormoni, come l’acido jasmonico e l’acido salicilico, e comincia a rilasciare nell’aria composti volatili: terpeni, alcoli e speciali “messaggeri” come il metil-jasmonato e il metil-salicilato. Queste molecole si diffondono come un profumo, raggiungono le foglie degli alberi vicini e vengono interpretate come un avviso: “attenzione, bruchi in zona”.

E cosa fanno i vicini? Non restano a guardare. Anche se non sono ancora stati toccati, molti alberi che “annusano” questa allerta attivano in anticipo le proprie difese: ispessiscono le foglie, aumentano i tannini e altre sostanze amare per rendersi sgraditi, producono resine appiccicose o microtossine che rallentano o fermano i predatori. È come chiudere le finestre prima che inizi il temporale.

Una delle curiosità più sorprendenti è che questa lingua chimica può superare i confini tra specie diverse. Salici, pioppi, aceri e perfino erbe spontanee capiscono messaggi simili, un po’ come se esistesse un esperanto della foresta. Ricerche in campo hanno mostrato che cespugli di artemisia danneggiata possono “avvertire” piante di tabacco selvatico vicine, che allora alzano il livello di nicotina, rendendo le loro foglie meno appetibili. Alcune acacie, quando iniziano a essere brucate, incrementano rapidamente i tannini e diffondono nell’aria un segnale gassoso che porta gli altri alberi a prepararsi.

Ma non è finita. Le piante non solo si difendono: chiamano rinforzi. Molti profumi emessi durante un attacco attirano i nemici dei loro nemici, come piccole vespe parassitoidi che depongono uova nei bruchi o coccinelle che divorano afidi. Il mais, per esempio, rilascia particolari odori che guidano gli insetti utili verso i parassiti. È una strategia sottile: trasformare una foglia in una radio che trasmette le coordinate del problema agli “alleati” della pianta.

La rete di comunicazione non è solo aerea. Sotto terra, le radici di molti alberi si intrecciano con filamenti di funghi in una relazione simbiotica chiamata micorriza. Queste connessioni formano veri e propri cavi biologici capaci di spostare nutrienti, acqua e anche segnali di allarme. Esperimenti hanno mostrato che piante collegate dallo stesso fungo attivano più velocemente le difese quando una di loro viene attaccata, come se la notizia corresse via filo. È un internet sotterraneo naturale, efficiente e silenzioso.

Quanto lontano viaggiano questi messaggi? Dipende. I composti volatili sono leggeri e si disperdono con il vento. In condizioni favorevoli possono raggiungere alberi a decine di metri, ma si degradano in fretta con luce forte e inquinanti come l’ozono. In città, per esempio, l’aria più “aggressiva” può accorciare la vita dei segnali odorosi, rendendo la comunicazione meno efficace. E non sempre l’invio di avvisi conviene: produrre difese costa energia, e le piante bilanciano continuamente risorse, stagione e rischio. Per questo la “chiacchierata” chimica della foresta è selettiva, opportunista e fine.

Questa storia ha anche i suoi colpi di scena. Non tutti ascoltano per cooperare: alcuni insetti hanno imparato a decifrare gli odori di allarme per trovare più facilmente le loro prede o l’ospite giusto. Altri sfruttano profumi simili per confondere i nemici. La foresta è un gioco di ombre fra spie, intercettazioni e contromisure, dove a evolvere non sono solo le piante, ma l’intera rete di relazioni.

Parlare di “intelligenza degli alberi” è un modo poetico per dire che hanno strategie raffinate, frutto di milioni di anni di evoluzione. Non pensano né decidono come noi, ma elaborano informazioni dall’ambiente e reagiscono in maniera sorprendentemente efficace. Il risultato, visto da lontano, è una comunità che si comporta come un organismo: un albero che segnala, un vicino che si prepara, un altro che chiama alleati. Un sistema di allerta diffuso che rende la foresta più resiliente.

Come lo sappiamo? Gli scienziati “ascoltano” questi messaggi con strumenti che catturano le molecole nell’aria e le analizzano, seguono i cambiamenti nella chimica delle foglie e misurano la risposta degli insetti. Tagliano piccole porzioni di foglie, raccolgono l’aria in microcampionatori, confrontano piante isolate con piante connesse da funghi. È un lavoro paziente che rivela un mondo invisibile.

C’è una bellezza speciale in questa storia: scoprire che passeggiando tra gli alberi siamo immersi in una conversazione continua, fatta di segnali che fluiscono sopra e sotto i nostri piedi. La prossima volta che senti il profumo di resina o di erba appena tagliata, pensa che per la foresta può essere un avviso, un invito, una chiamata a raccolta. Dietro quel profumo c’è una rete di spie instancabili che, senza occhi né voce, proteggono una comunità intera. E questa, forse, è la vera meraviglia: la cooperazione silenziosa che tiene in vita i boschi del pianeta.

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