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La città perduta di Z e le antiche civiltà amazzoniche tra mito e scoperte archeologiche

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Nel cuore della foresta amazzonica, dove il mistero avvolge ogni cosa, una leggenda ha acceso per oltre un secolo l’immaginazione di esploratori, sognatori e scienziati: la Città perduta di Z. La leggenda parlava di una civiltà antica e grandiosa, nascosta nel verde infinito, con strade lastricate, templi e conoscenze avanzate. A inseguire questo sogno più di chiunque altro fu Percy Fawcett, un tenace esploratore britannico che, nel 1925, si avventurò nella giungla brasiliana convinto di poterla trovare. Non fece mai più ritorno, e la sua scomparsa trasformò la città di Z in un mito immortale.

Ma cosa c’è di vero in questa storia? Esiste davvero una metropoli dimenticata, o la realtà è diversa, ma non meno sorprendente?

Per decenni, l’idea di Fawcett fu liquidata come un’ossessione romantica. Gli studiosi ritenevano impossibile che l’Amazzonia, con il suo suolo povero e il suo ambiente ostile, potesse aver ospitato società complesse. Le storie di antiche città venivano considerate semplici fantasie. Eppure, la realtà, scoperta solo di recente, si è rivelata altrettanto straordinaria del mito.

Le scoperte degli ultimi anni non hanno portato alla luce una singola metropoli di pietra, ma qualcosa di ancora più affascinante: un mosaico di comunità estese e interconnesse, capaci di modellare l’ambiente con tecniche raffinate. In altre parole, una forma di urbanità della foresta.

Le prove sono disseminate ovunque, a chi sa dove guardare. Una delle più incredibili è la terra preta, letteralmente “terra nera”. Si tratta di un suolo scuro e fertilissimo, creato artificialmente dagli antichi abitanti mescolando per secoli carbone, cocci di ceramica e resti organici. Questa terra è la firma archeologica di un’agricoltura intensiva e sostenibile. Un’altra prova spettacolare sono i geoglifi: immense figure geometriche incise nel terreno, visibili solo dall’alto, riscoperte grazie a droni e immagini satellitari. Questi disegni, insieme a strade, canali e fossati, dimostrano una pianificazione territoriale su vasta scala.

Nella regione del Xingu, gli archeologi hanno trovato una rete di villaggi collegati da sentieri, con piazze centrali e una struttura organizzata. Non una singola città, ma una specie di “città diffusa” che funzionava come un unico sistema. Nelle pianure allagabili della Bolivia, chilometri di terrapieni, canali e campi rialzati testimoniano un’incredibile capacità di gestire le acque e coltivare in armonia con le stagioni. Non costruivano con la pietra, ma con la terra. La loro architettura non puntava a dominare la natura, ma a integrarsi con essa.

Queste civiltà non si limitavano a vivere nella foresta: la coltivavano. Creavano vere e proprie foreste-giardino, piantando alberi da frutto, palme e piante medicinali. Costruivano dighe per l’allevamento dei pesci. Era un modo di vivere sofisticato e in perfetto equilibrio con uno degli ecosistemi più complessi del pianeta.

Se tutto era così avanzato, perché è scomparso dalla vista? La risposta è tragica. Con l’arrivo degli europei, si diffusero malattie contro cui le popolazioni amazzoniche non avevano difese immunitarie. Fu un crollo demografico devastante. Intere comunità vennero spazzate via. Senza più persone a curare canali, strade e campi, la foresta, con la sua incredibile forza vitale, si riprese i suoi spazi, ricoprendo ogni traccia. L’immagine di un’Amazzonia “vergine” e disabitata divenne la norma, nascondendo un passato brulicante di vita.

Oggi, tecnologie come il LiDAR, un laser che permette di mappare il terreno sotto la fitta vegetazione, stanno aprendo una nuova finestra su quel mondo. Ogni scansione rivela nuove strade, villaggi e strutture agricole, confermando che la Città di Z non era un luogo, ma un’idea: il riflesso di una civiltà diffusa e complessa che noi, con i nostri preconcetti, non riuscivamo a vedere.

La leggenda di Z, nata da un sogno, ha avuto il merito di spingere la ricerca oltre i suoi limiti. Ha alimentato una curiosità che, alla fine, ci ha portato a scoprire una verità più profonda. Fawcett forse non ha trovato la sua città d’oro, ma la sua ostinazione ci ha indirettamente messo sulla strada giusta.

Oggi sappiamo che l’Amazzonia non è solo un polmone verde, ma un archivio vivente di storia umana. La vera Città perduta non era fatta di pietra, ma di conoscenza, di suoli fertili, di sentieri e di un patto millenario tra l’uomo e la foresta. La ricerca non si fa più con il machete, ma con il rispetto e l’ascolto delle comunità indigene, custodi di quel sapere antico. La leggenda si è trasformata: non più un mito di conquista, ma un ponte per comprendere il passato e proteggere il futuro della più grande foresta del mondo.

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