C’è stato un tempo, alla fine del Medioevo, in cui il re di Francia credeva di potersi rompere in mille pezzi. Non è una metafora: Carlo VI, salito al trono nel 1380, visse per anni con la terrificante certezza di essere fatto di vetro. Da questa convinzione nacque una delle vicende più incredibili della storia europea, dove la fragilità di un singolo uomo si trasformò nella fragilità di un intero regno.
Carlo VI iniziò a regnare giovanissimo. Dopo un primo periodo sotto la tutela degli zii, prese il potere e fu persino soprannominato il Beneamato per alcune riforme apprezzate dal popolo. Poi, nell’estate del 1392, la catastrofe. Durante una marcia militare, fu colpito da un improvviso e violento attacco di follia: si scagliò contro i suoi stessi uomini, uccidendone uno prima di essere fermato. Da quel momento, la sua vita divenne un’altalena tra momenti di lucidità e abissi di buio. L’anno seguente, la tragedia del Ballo degli Ardenti, una festa di corte finita tra le fiamme, sembrò un presagio sinistro per un regno che stava perdendo il controllo.
Tra i tanti deliri che lo tormentavano, uno in particolare catturò l’immaginazione dei suoi contemporanei: la malattia del vetro. Carlo era terrorizzato all’idea di essere toccato, convinto che il minimo contatto lo avrebbe mandato in frantumi. Ordinò ai sarti di rinforzare i suoi vestiti con stecche e placche di ferro, una sorta di armatura segreta cucita sotto le stoffe pregiate. Faceva disporre cuscini ovunque si sedesse, evitava movimenti bruschi e urlava contro chiunque osasse avvicinarsi troppo. Le cronache del tempo raccontano che a volte rimaneva immobile per ore, rigido come una statua, paralizzato dal terrore di rompersi.
Questa non era una bizzarria da sovrano, ma un disturbo psicologico documentato tra il tardo Medioevo e il Rinascimento. A quell’epoca il vetro era un materiale prezioso e quasi magico: trasparente, puro, ma incredibilmente fragile. In un mondo che spiegava la mente attraverso l’equilibrio degli “umori” del corpo, il vetro diventò una potente metafora della vulnerabilità dell’anima. I medici di corte tentarono di tutto: salassi, erbe, bagni purificatori e pellegrinaggi, ma nulla riuscì a restituire al re una pace duratura.
Le conseguenze politiche furono devastanti. Quando il re era prigioniero della sua malattia, chi governava la Francia? Questa domanda scatenò una lotta senza quartiere per il potere. Da una parte i Borgognoni, guidati dal duca di Borgogna; dall’altra gli Armagnacchi, fedeli al fratello del re, Luigi d’Orléans. La guerra civile esplose violenta nel 1407, dopo l’assassinio di quest’ultimo. In mezzo a una Francia spaccata e senza una guida salda, l’Inghilterra vide la sua grande occasione. Nel 1415, il re inglese Enrico V invase il paese e, nella celebre battaglia di Azincourt, annientò la cavalleria francese. Il colpo di grazia arrivò con il Trattato di Troyes del 1420: un accordo umiliante che diseredava il delfino, il futuro Carlo VII, e nominava il re d’Inghilterra erede al trono di Francia.
È facile liquidare Carlo VI come un semplice “re pazzo”, ma la sua storia merita uno sguardo più profondo. La sua malattia privò il regno dell’unica figura che avrebbe potuto mediare tra le fazioni, placare gli odi e unire il paese contro il nemico. La fragilità privata di un uomo, esposta al centro della scena pubblica, creò un vuoto di potere che fu riempito da ambizioni spietate e da una guerra sanguinosa. Eppure, nei rari momenti di lucidità, Carlo manteneva la sua dignità e l’affetto per i suoi cari, un re prigioniero nella sua stessa mente.
La “malattia del vetro” non si estinse con lui. La si ritrova in altri casi clinici dell’epoca e persino nella letteratura, come nel “Licenziato di vetro” di Cervantes. Oggi gli psicologi la interpretano come il prodotto di un’epoca, un intreccio tra fragilità personale e i simboli culturali del tempo. Carlo VI morì nel 1422, lasciando una Francia divisa e in parte occupata. Ci sarebbero voluti anni di battaglie e l’intervento di una figura straordinaria come Giovanna d’Arco per ricucire le ferite di quel regno. Ma la sua storia resta un avvertimento potente: anche ciò che sembra più intimo e invisibile, come la paura di un uomo, può cambiare per sempre il destino del mondo.
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