Immagina di aprire il giornale e leggere che sulla Luna vivono unicorni, castori che camminano su due zampe e veri e propri “uomini pipistrello” capaci di volare tra templi fatti di cristallo. Sembra la trama di un film di fantascienza, e invece nel 1835 milioni di persone ci credettero davvero. Questa è la storia del grande “Moon Hoax”, la più celebre bufala lunare della storia, pubblicata dal quotidiano New York Sun, che per giorni interi fece sognare, stupire e ingannare lettori in tutto il mondo.
Siamo nella New York dell’Ottocento, un’epoca di febbrile eccitazione per la scienza. I telescopi sono il simbolo del progresso e ogni nuova scoperta accende l’immaginazione collettiva. Il New York Sun, un giornale economico venduto a un solo centesimo, si rivolge a tutti: non solo all’élite colta, ma anche agli operai e alla gente comune. Nell’agosto del 1835, il Sun lancia una notizia bomba, pubblicando a puntate un sensazionale “resoconto astronomico”. La fonte? Il celebre astronomo John Herschel, che dal Sudafrica, grazie a un rivoluzionario e potentissimo telescopio, era riuscito a osservare la superficie lunare con un dettaglio mai visto prima. E lì, tra valli e crateri, avrebbe scoperto un mondo vibrante: laghi, foreste bluastre, spiagge dorate e, soprattutto, forme di vita.
Gli articoli erano un capolavoro di ingegneria narrativa. Pieni di misure precise, nomi scientifici inventati e descrizioni minuziose, dipingevano un quadro incredibilmente credibile. Si parlava di mandrie di “bisoni lunari”, di capre dal corno singolo simili a unicorni e di castori evoluti che camminavano eretti, costruivano capanne e addirittura accendevano fuochi. Ma l’immagine che catturò la fantasia di tutti fu quella degli uomini pipistrello, battezzati con il nome latino di Vespertilio-homo: creature umanoidi con immense ali da pipistrello, che vivevano in comunità pacifiche accanto a magnifici templi “di zaffiro”. Le illustrazioni, rapidamente riprese da altri giornali, fecero il resto: la storia appariva vera perché vestita con gli abiti della scienza.
Ma perché così tante persone ci credettero? La risposta è un mix esplosivo di psicologia, tecnologia e cultura dell’epoca.
- Autorità e fiducia: il nome di John Herschel era reale e rispettato. Il fatto che si trovasse davvero all’Osservatorio del Capo di Buona Speranza bastò a donare un’aura di credibilità alla notizia.
- Fascino tecnologico: la maggior parte dei lettori non aveva idea dei limiti reali dei telescopi. La promessa di uno “strumento rivoluzionario” sembrava perfettamente plausibile nell’era delle grandi invenzioni.
- Linguaggio specialistico: le descrizioni, infarcite di numeri e termini tecnici, davano l’illusione di un reportage rigoroso e scientifico.
- Velocità di diffusione: il Sun era un pioniere della “penny press”, il giornalismo popolare e veloce. La notizia si sparse a macchia d’olio da New York all’Europa, ristampata senza sosta.
- Desiderio di meraviglia: l’Ottocento era un secolo assetato di scoperte e avventura. Una Luna viva e abitata era esattamente il tipo di storia che il pubblico desiderava sentire.
L’impatto fu travolgente. Le vendite del Sun schizzarono alle stelle, si accesero dibattiti infuocati nei caffè e per le strade, e i giornali concorrenti, per non restare indietro, rilanciarono la notizia. Per giorni, nessuno riuscì a smentirla con certezza. Non c’era Internet e le fotografie astronomiche erano ancora di là da venire. Verificare le fonti era un’impresa quasi impossibile. Quando i primi dubbi iniziarono a circolare, il Sun giocò d’astuzia, pubblicando una spiegazione finale: il potente telescopio, a causa di un incidente, si era bruciato, interrompendo per sempre le osservazioni. Una scusa perfetta per chiudere la serie col botto, lasciando tutti con il fiato sospeso.
Ma chi si nascondeva dietro questa geniale montatura? L’autore più probabile è Richard Adams Locke, un giornalista del Sun. Anni dopo, ammise che l’intento originale era satirico: voleva prendere in giro le speculazioni più fantasiose sulla vita extraterrestre, dimostrando quanto fosse facile far credere qualunque cosa se raccontata nel modo giusto. Ma la satira sfuggì di mano, trasformandosi in uno spettacolo di massa e, infine, in una delle più grandi bufale della storia.
E il povero John Herschel? Lui era davvero un grande astronomo, figlio di William Herschel, lo scopritore di Urano. Si trovava realmente al Capo di Buona Speranza, ma per un lavoro molto più metodico: catalogare stelle e nebulose. Quando seppe della storia, rimase sbalordito e fu sommerso per mesi da lettere di persone entusiaste. L’episodio lo infastidì, ma non lo distolse dalla sua vera missione scientifica, fatta di misurazioni rigorose e risultati verificabili.
Il Moon Hoax rimane una lezione fondamentale sul potere dei media e sulla natura della credibilità. Spiega perché le “fake news” non sono un’invenzione moderna. Cambiano gli strumenti – allora la stampa popolare, oggi i social media – ma i meccanismi psicologici sono gli stessi: una forte leva emotiva, un’apparenza di autorevolezza, dettagli pseudo-tecnici e una diffusione rapidissima. La storia ci insegna a porci sempre delle domande cruciali di fronte a notizie sensazionali: chi lo dice? Come lo dimostra? Ci sono prove solide e indipendenti?
Il bello è che la scienza vera, quella che procede un passo alla volta, ci regala meraviglie autentiche, ancora più potenti perché reali. Galassie lontanissime, le vere montagne della Luna, pianeti extrasolari scoperti con metodi ingegnosi. Non servono uomini pipistrello per restare a bocca aperta. Il cielo, se studiato con rigore, è già pieno di sorprese straordinarie. Il Moon Hoax è stato un sogno fantastico, ma la realtà dell’universo è ancora più incredibile.
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